Ricordo la prima volta che fui scaricato da una
ragazza: immaginate un giovane virgulto foggiano,fascino alla Sid Vicious con
qualche chilo in più e qualche buco in meno nelle braccia,ringalluzzito e
baldanzoso come il Tony Manero della Piazzetta, lustrato mostruosamente come la cristalliera di vostra madre,attenzione
ossessiva-compulsiva per il dettaglio capelli con relativa occupazione di
specchi pubblici.
Dall’altra parte arriva lei,la sfortunata figlia di Bocelli
decisa ad uscire col suddetto sfigato,fisicamente accattivante e con un
curriculum da far invidia alla divina Moana Pozzi da Genova.
Lui la butta sul
romantico e filosofico,per tre sere di fila, celando in realtà una incapacità
patologica nel prendere l’iniziativa stile Fantozzi con la Silvani(sudore alle
mani e manie di persecuzione).
Lei finalmente decide di tirare la catena dello sciacquone
dedicandogli dei versi di ben servito di straordinaria leggiadria ma di cui
ancora oggi si stenta a comprendere il senso;come quella dannata ossessa di Joey
Potter,sedicenne travestita da Freud,gli rifila delle storie sconvolgenti sulla
ricerca di se stessa e delle sue priorità,dei suoi spazi e del tempo che
incalza ineluttabile,delle violenze consensuali arrecatele dagli altri ragazzi
e del padre nazista che non la vuole far uscire,e della mia dannata-innata
attitudine a fungere da amico fidato e comprensivo.Ed ecco,dunque,che mi ritrovai lì,stordito e
attonito come una polpo appena pescato ma ancora “zerbinamente” attratto da
quella strana e contorta creatura.
La musica di Trivo,eclettico cantautore foggiano, è essenzialmente
questo;un assurdo,enigmatico ed indefinibile messaggio,che riesce
misteriosamente ad attrarti.
L’album “Emoterapia”è una ipnotica rapsodia di mondi
eterogenei,un eco che abbraccia voci confuse ,un armonico pandemonio di stili
differenti.
Come un nostrano Frank Zappa,elabora un concetto musicale
affrancato da qualsiasi forza tipizzatrice,che beffeggia e trascende le noiose
etichette affibbiate dalla critica e che saltella sapiente e irriverente tra le
diversità musicali.
Riesce nell’intento di unire raziocinio e
impulso,contingenza e trascendenza,asservendo suoni robotici e psichedeliche voci
di strada alla necessità melodica,all’intento musicale. Un teatro di personaggi provenienti da realtà musicali
disparate,dal rock all’elettronica,dal no-sense al cantautorato,passando per la
new wave,legati tra loro da un filo melodico invisibile.
La verve enigmatica e intrigante domina in toto anche l’impasto
testuale,che combina ambiguità e allegoria,sottigliezza e irriverenza riuscendo
a imboccare con sorprendente
dimestichezza l’impervia via dello sperimentalismo linguistico
Un raffinato ed
enigmatico dipinto surrealista,un indefinibile sinolo di rapsodia melodica e
ipnosi testuale,questo è Trivo.
Antonio Colasanto
Antonio Colasanto